polpette

Le polpette in Italia e nel mondo: le diverse varianti

Le polpette sono un piatto tradizionale diffuso in tutto il mondo. È il piatto della nonna per eccellenza. Ognuno di noi ha la propria ricetta di famiglia e soprattutto la propria versione preferita tra quelle cucinate dalla mamma, dalla nonna o dalle zie. In generale, si tratta di palline di carne tritata arricchite con numerosi ingredienti, come il prezzemolo, l’aglio e le spezie.

Per scoprire la bontà di questo piatto diffuso in tutto il mondo conosciamo la sua storia e alcune delle varianti più buone.

Storia e origine delle polpette

Le origini della polpetta si collocano nel Quattrocento, epoca in cui il termine polpetta appare per la prima volta nel nel De arte coquinaria di Mastro Martino de’ Rossi. In questo testo, Mastro Martino spiegava che per preparare delle ottime polpette era necessaria la polpa della carne bianca di vitello arricchita successivamente con altri condimenti.

Una volta pronte venivano appiattite e arrostite. Oggi sappiamo che per preparare le polpette è sufficiente acquistare del tritato di bovino di prima scelta, ma a livello storico è nel Seicento che si inizia a tritare la carne. Questa importante evoluzione permise di velocizzare i tempi di preparazione che a partire dal Settecento divennero un vero piatto di punta, come diceva Artusi un piatto ormai preparato ovunque.

Anche oggi, nel 21° secolo, l’amore per le polpette continua ad essere vivo.


I
n Italia

In Sicilia le polpette vengono preparate al sugo di pomodoro. Il tritato di bovino viene arricchito con mollica di pane raffermo precedentemente ammorbidito in latte, successivamente si aggiunge a piacere prezzemolo, pecorino, aglio, sale e pepe. A questo punto si formano le polpette che andranno rosolate in una padella con l’olio. Successivamente si aggiungeranno alla salsa di pomodoro che dovrà essere già a metà cottura e si lasceranno cuocere per circa 40 minuti.

In Trentino Alto Adige, insieme con la carne tritata e il pane raffermo ammorbidito, si aggiungono anche le patate lesse schiacciate e la pancetta affumicata. Queste polpette vengono fritte in abbondante burro.

A Milano si chiamano mondeghili e vengono preparate con ciò che avanza del bollito e vengono fritte nel burro. Anche la variante che si prepara a Roma prevede l’utilizzo degli avanzi del bollito, ma in questo caso dopo la frittura nel burro le polpette vengono cotte nel sugo di pomodoro.

In Emilia Romagna le polpette si preparano con un mix di carne di manzo e maiale, a cui si aggiunge abbondante formaggio, noce moscata e mortadella.


Le polpette nel mondo

Come già anticipato, la polpetta non è un’esclusiva italiana, ma è preparata e amata in tutto il mondo.

In Turchia c’è un vero amore per le polpette, o meglio per le kofte. Vengono preparate con una forma tipicamente allungata, simile alle crocchette di patata. Le kofte vengono preparate con carne di agnello e manzo e condite con numerose spezie. Vengono fritte e accompagnate con salsa allo yogurt o altre salse a proprio gusto.

In Irlanda le polpette si chiamano meatballs, vengono preparate con carne di agnello o pecora e la loro caratteristica principale è la dimensione: sono palline di carne piccolissime. La carne è condita con tante spezie, anche molto piccanti. Vengono fritte e servite con gli spaghetti al pomodoro.

In Spagna le polpette si chiamano albondigas e vengono preparate nel classico sugo di pomodoro e accompagnate da pane fresco.

In Portogallo le polpette vengono preparate con macinato di manzo e chorizo (un salame tipico condito con aglio e paprica) e spezie; queste polpette vengono servite nel brodo di pollo.

In Giappone vengono preparate numerose varianti di polpette soprattutto a base di pesce, ma esistono anche le tsukune, una versione di polpette a base di carne di pollo, zenzero e aglio.

In Svezia si trovano le kotbullar, polpette realizzate con un mix di carne di vitello, manzo e maiale e condite pane ammorbidito nel latte e con cipolla. Le kotbullar vengono fritte nel burro e servite con una salsa a base di panna.

brasato

Come cucinare il brasato perfetto

Cos’è il brasato

Il brasato è un secondo a base di carne bovina, originario del Piemonte, preparato con un particolare metodo di cottura, denominato per l’appunto brasatura.
Questo metodo di cottura permette di cuocere la carne con una cottura lenta e prolungata, ottenendo alla fine della preparazione una carne tenerissima, succosa e molto gustosa, grazie all’aggiunta di brodo, erbe aromatiche, salse e altri ingredienti, come carote, cipolla e sedano.
I lunghi tempi di cottura lo rendono uno dei piatti ideali per la stagione invernale e sicuramente uno dei piatti della domenica per eccellenza.

I tagli di carne ideali

Per preparare il brasato perfetto, oltre ai metodi di cottura e alle fasi di preparazione, è necessario scegliere il giusto taglio di carne. La carne ideale per il brasato è un taglio che si presta a lunghe cotture, quindi un taglio non eccessivamente magro poiché in cottura si rischierebbe di ottenere una carne molto stopposa.
In origine, in Piemonte si preparava utilizzando un muscolo di collo, spalla o gamba.


Il taglio ideale per la preparazione di un ottimo brasato è senz’altro il cappello del prete. A rendere perfetto questo taglio per la brasatura è la presenza della venatura di tessuto connettivo che in cottura si scioglie rendendo la carne molto tenera.

Tra i tagli di prima scelta anche il noce di vitello è un taglio adatto per la preparazione del brasato.


Un altro taglio di carne ideale per il brasato è il reale di vitello. Si tratta in questo caso di un taglio di seconda scelta, più precisamente è un muscolo dorsale che copre le vertebre. Nonostante sia un taglio di seconda scelta e sia anche abbastanza magro, grazie alle numerose fibre riesce comunque a mantenersi tenero durante la cottura.


Infine è consigliato anche lo scamone, un taglio di coscia ricoperto da un sottile strato di grasso che per la preparazione del brasato necessita di essere rimosso.

Come preparare il brasato perfetto

La preparazione del brasato può essere suddivisa in tre fasi distinte: 1) rosolatura la carne; 2) aggiunta di liquidi e condimenti vari; 3) cottura.

  1. Rosolare la carne: il primo step consiste nel sigillare bene la carne creando, attraverso la reazione di Maillard, una croccante crosticina esterna. Per prima cosa occorre condire il taglio di carne scelto con sale e pepe. Successivamente in una casseruola aggiungere due cucchiai circa di olio e lasciar scaldare qualche istante sul fuoco medio. Aggiungere la carne nell’olio caldo e lasciar rosolare tutti i lati, girandola di tanto in tanto per non farla bruciare. Questa fase di cottura dovrà comunque essere veloce, il tempo necessario affinché la carne diventi di colore bruno. Una volta raggiunto questo colore spegnere il fuoco e rimuovere la carne dalla casseruola.
  2. Aggiunta di liquidi e condimenti vari: in questa seconda fase di preparazione del brasato è possibile esprimere la propria creatività culinaria aggiungendo liquidi di cottura e altri ingredienti.
    • Liquidi: è possibile scegliere tra brodo vegetale e brodo di carne, succo di pomodoro, succo di mela, vino (come ad esempio il barolo) o si può optare anche per una combinazione equilibrata di vino e brodo.
    • Erbe aromatiche: le erbe aromatiche ideali sono l’alloro e la salvia, per i più audaci è consigliato anche il timo. In ogni caso non bisogna mai esagerare con l’aggiunta delle erbette perché il rischio è quello di ottenere un sapore troppo intenso.
    • Salse: se non si aggiunge il vino è possibile optare per l’aggiunta di alcune salse come il concentrato di pomodoro, la senape, la salsa barbecue o la salsa di soia.
  3. Cottura: una volta aggiunti i liquidi di cottura, le erbe aromatiche e eventuali salse è giunto il momento di cuocere il brasato. Si può cuocere sul fornello, all’interno di una casseruola, a fiamma bassa con coperchio, oppure in forno. I tempi di cottura variano in base al peso della carne: in genere si considera 2 ore per kg di carne.
carpaccio

Il carpaccio: come è nato e quale taglio usare

Il carpaccio è un piatto di carne molto facile e rapido da realizzare, in cui è possibile dar sfogo alla propria fantasia. Più precisamente il carpaccio è un piatto a base di carne cruda che viene condito con salse, emulsioni e altri ingredienti a scelta, come ad esempio la rucola.
L’ingrediente alla base di questo piatto è senz’altro la carne che deve essere freschissima e di alta qualità.

Come è nato il carpaccio: storia e origini

Il carpaccio è nato nel 1950 e la sua origine si attribuisce a Giuseppe Cipriani, imprenditore e proprietario dell’Harry’s Bar di Venezia, oggi storico bar divenuto patrimonio nazionale dal Ministero dei Beni Culturali.

Giuseppe Cipriani inventò un piatto per la contessa e sua amica Amalia Nani Mocenigo, la quale, sotto consiglio medico, non poteva magiare carne cotta. L’amico allora decise di inventare per lei un piatto a base di carne cruda arricchito con salse e altri ingredienti in grado di coprire in modo equilibrato il sapore della carne cruda.

Per quanto riguarda l’origine del nome, Giuseppe Cipriani lo scelse in onore del celebre pittore Vittorio Carpaccio, che in quello stesso periodo era il protagonista di una mostra presso il Palazzo Ducale. Ad ispirare questo nome furono proprio i colori intensi delle sue pitture che ricordavano i colori accessi della carne cruda.

Quale taglio usare per il carpaccio

Per la preparazione del carpaccio è necessario un taglio di carne di vitello molto magro, ovvero un taglio di carne con poco tessuto connettivo.
Il taglio di carne per eccellenza per preparare il carpaccio è il filetto ricavato dai muscoli della lombata. Altri tagli magri consigliati sono il controfiletto, la noce e la fesa. Infine tra i tagli di seconda scelta è consigliato il girello.

Ricette per la preparazione del carpaccio

Esistono numerose ricette per la preparazione del carpaccio e probabilmente ogni famiglia che ama questo piatto ha la sua personale ricetta.

Carpaccio alla Cipriani

Il carpaccio alla Cipriani è la ricetta classica per eccellenza, poiché è la ricetta del suo inventore. Questa preparazione prevede l’utilizzo di ingredienti come la salsa Worcester, il latte e la maionese.
Per prima cosa occorre insaporire la maionese (meglio se fatta in casa) con alcune gocce di salsa Worcester, succo di limone, latte, sale, pepe e olio. La salsa, una volta pronta, va tenuta in frigo fino al momento dell’utilizzo. Una volta pronta la salsa, passare alla preparazione della carne disponendo le fette sottili ben distese oppure con movimenti ondulatori, su un piatto largo da portata. A questo punto aggiungere la salsa facendola cadere a filo sulla carne in modo del tutto casuale, creando dei ghirigori. Il carpaccio alla Cipriani è pronto. L’ideale è farlo riposare 30 minuti prima di servirlo. Può essere servito accompagnato con un’insalatina a scelta, come ad esempio la misticanza.

Carpaccio rucola e grana

Il carpaccio tradizionale rucola e grana è sicuramente una delle ricette più iconiche e più amate per la preparazione del carpaccio. Anche in questo caso si inizia con la preparazione della salsa che viene preparata con succo di limone fresco emulsionato con olio extra vergine di oliva e condito con sale e pepe nero macinato fresco. Successivamente tagliare il Grana Padano o il Parmigiano Reggiano a scaglie sottili. A questo punto adagiare le fettine di carne su un vassoio da portata o su un piatto singolo e aggiungere sulla carne i ciuffetti di rucola a piacere. Aggiungere, senza esagerare, la salsa a base di limone e infine guarnire con abbondanti scaglie di Grana o Parmigiano. Prima di servire, come per la ricetta del carpaccio alla Cipriani, è consigliato lasciar riposare il piatto per 30 minuti a temperatura ambiente (in estate è preferibile farlo riposare in frigo).

agnello grigliato

Abbacchio, capretto, agnello: differenze

Abbacchio, capretto o agnello: quali sono le differenze di queste tre carni prelibate

Il mondo della carne è veramente vasto e riuscire a conoscere le varie differenze tra i diversi tipi di piatti e di tagli che è possibile gustare non è sicuramente facilissimo, specie quando si parla di tipologie di carne molto simili, sia nel gusto che dall’aspetto. Proprio per questo motivo, una delle domande più frequenti è proprio quale sia la differenza tra abbacchio, capretto e agnello.

Che cos’è l’abbacchio

La prima tipologia di carne in ordine tra quelle elencate è sicuramente l’abbacchio. Il termine deriva dal dialetto della regione Lazio, ma pare abbia origini latine dalla parola baculus, che sta a indicare il bastone con la quale questo piccolo di pecora veniva legato durante il pascolo e poi ucciso. L’abbacchio rappresenta infatti la carne di agnello che viene macellato circa a un mese di vita. La sua carne presenta un particolare colore rosa chiaro e un sapore altamente delicato e succoso.

Che cos’è l’agnello


Per quanto riguarda l’agnello, invece, anche in questo caso si ha a che fare col piccolo di pecora, ma si tratta di un animale che ha raggiunto già i quattro o i dieci mesi di vita e che è stato già svezzato. L’agnello che ha già un’alimentazione a base d’erba viene dunque macellato al raggiungimento del peso di circa 10 chili. La sua carne si presenta con un colore più intenso e scuro rispetto all’abbacchio e anche il suo sapore risulta particolarmente forte e selvatico. In generale, quanta più è l’erba brucata dall’agnello, tanto più il sapore della sua carne risulterà particolare.

Che cos’è il capretto

Chiudendo questa breve guida sulle differenze tra queste tipologie di carne troviamo il capretto. Quest’ultimo rappresenta invece il piccolo di capra, una categoria diversa dunque dalle prime due, che viene macellato entro il compimento del secondo mese di vita e con un peso variabile tra i 10 e i 14 kg. La carne di questo animale risulta molto chiara rispetto alle precedenti, con un sapore intenso che richiama il tipico odore di latte.

Queste sono dunque le principali differenze tra le tre tipologie di carne che spesso vengono erroneamente pensate come un unicum.

Tuttavia, esistono delle caratteristiche specifiche che permettono di individuare da subito con quale tipo di animale si ha a che fare. Per esempio infatti, l’agnello possiede una testa più tonda, con un collo più lungo e sporgente. Inoltre la carne di agnello risulta essere più grassa e saporita e le sue zampe più arrotondate. Per quel che riguarda il capretto invece, quest’ultimo ha una testa più allungata e allo stesso tempo affusolata, con un collo corto e dritto e cosce sottili e longilinee. La sua carne è più tenera e magra e il suo sapore ricorda inconfondibilmente quello del latte.
Da come si può evincere sono diverse le peculiarità di questi tre tagli prelibati di carne, ciascuno con le loro caratteristiche. Tra gli amanti di carni magre e quelli di carni grasse, tra chi preferisce un gusto delicato a chi invece desidera un sapore più intenso e selvatico, l’abbacchio, l’agnello e il capretto rappresentano ciascuno la soluzione ideale per mettere d’accordo tutti.

Non rimane dunque che ordinare il vostro preferito e gustarlo in compagnia.

Brociolottino di Vitello - falsomagro

Il falsomagro: una delizia siciliana

Il falsomagro alla siciliana

È noto a tutti, si dice che grasso sia sinonimo di buono, e il falsomagro alla siciliana non fa eccezione!
Ma cosa è esattamente il falsomagro?
Innanzi tutto è una ricetta tradizionale siciliana, un secondo piatto di carne, costituito da una succulenta fetta di vitello ripiena e stufata nel sugo di pomodoro. Leccornia tipica della domenica o dei tradizionali periodi di festa.
Si tratta di polpa di fesa vitello in un’unica fetta, arrotolata e farcita di trita di manzo, salame, caciocavallo, pinoli, uva passa e uova sode. Quindi possiamo confermare che l’aggettivo magro non corrisponda ad una delle principali virtù di questo piatto!

La farcitura varia da provincia in provincia, da famiglia a famiglia, a seconda della tradizione locale tramandata da generazioni. Le ricette più note sono sicuramente quelle del falsomagro alla messinese, alla catanese e ovviamente alla palermitana.

Un po’ di storia: origini e nomi del falsomagro

Il nome stesso del piatto spiega da sé la ricetta, ovvero un apparente e semplice stufato di vitello che in realtà racchiude una farcitura paradisiaca, ricca di gusto, ingredienti e sapore.
Pare che durante il periodo della dominazione Angioina del XIII secolo, la ricetta del falsomagro sia stata importata in Sicilia dai cuochi francesi assoldati dalla nobiltà palermitana presso le loro corti e poi via via diffusa in tutta l’isola.

La tradizione narra che il falsomagro sia quindi un piatto di origine francese, farce maigre, che significa “farcia magra”, in quanto la preparazione prevedeva un ripieno magro a cui poi nel tempo sono stati aggiunti ingredienti differenti dalla versione originale, variazione poi tramandata da famiglia in famiglia.

Una seconda teoria vuole invece che il nome falsomagro abbia origine nel palermitano da una sorta di storpiatura della parola francese “farce” ovvero farcia, trasformata nella parola “falso” ad indicare soltanto l’apparente magrezza del piatto; nascerebbe così il termine dialettale “farsumagru“, detto anche braciuluni o bruciuluni, parole che derivano da braciola, ossia un involtino ma in questo caso di formato extra large.

La ricetta, nonostante le sue variazioni locali, ha però due punti fermi ovunque venga cucinato: l’onnipresente uovo sodo e la cottura nella salsa di pomodoro.
Il falsomagro viene stufato nel pomodoro solo dopo essere stato rosolato in olio aromatizzato all’alloro per sigillare succhi e ripieno. Una alternativa prevede di ultimare la cottura al forno ma solamente dopo averlo abbondantemente rosolato, per preservane morbidezza, succosità e umidità.

Il taglio ideale

Che taglio di carne scegliere per rendere perfetta la ricetta del falsomagro?

Innanzi tutto l’ideale è optare sempre per la carne di vitello, che risulta più digeribile e di sapore delicato in contrasto con la farcia molto ricca di ingredienti e sapore.
Più specificatamente per quanto riguarda la scelta del taglio, in realtà non ne esiste uno migliore dell’altro per l’esecuzione della preparazione ma dipende da una questione di preferenza personale. La polpa di vitello ad esempio si presta alle cotture lunghe e lente risultando estremamente morbida, così come ideali potrebbero essere sia coscia che spalla ma anche la scelta del magatello estremamente tenero e povero di fibra nervosa darà un risultato eccellente.

pancetta

Pancetta, guanciale o bacon?

Pancetta, guanciale o bacon: differenze e caratteristiche

Dalla carne di suino nascono molti prodotti, ma tre in particolare spesso vengono confusi tra loro: la pancetta, il bacon e il guanciale, che invece sono caratterizzati da alcune differenze fondamentali sia di provenienza che di utilizzo e di gusto.

La pancetta

La pancetta è anche chiamata ventresca e si ricava rifilando pancia del maiale. E’ un salume diffuso in molte regioni d’Italia, in alcune delle quale considerato vero prodotto d’eccellenza grazie alla Denominazione D’Origine Protetta (come la pancetta piacentina e quella calabrese).

La carne viene inizialmente tagliata e squadrata, salata e cosparsa di aromi vari come il pepe nero, e, una volta trascorso il periodo di riposo, la cosiddetta asciugatura che va dai 10 ai 15 giorni, viene lavorata diversamente a seconda del prodotto finale che si vuole ottenere. Infatti la pancetta può essere tesa o steccata, chiamata così perchè tenuta insieme da due stecche, arrotolata come un salame o coppata cioè riempita di coppa di maiale.

Può inoltre essere provvista o no di cotenna, sottoposta o meno ad affumicatura. Ad ogni modo il procedimento termina con la stagionatura finale comune a tutti e tre i tipi di lavorazione che può andare dai 50 ai 100 giorni a seconda della grandezza della pezzatura.

Utilizzata nella cucina tradizionale italiana per la preparazione di arrosti, polpettoni e involtini, la pancetta oltre ad essere squisita è davvero molto versatile tanto che da un piatto della tradizione come la cipollata catanese, realizzata con pancetta di maiale avvolta su cipollotti freschi, ne è nato un prodotto di street food a base di carne molto amato e diffuso.

Con la pancetta inoltre si possono realizzare sughi gustosi per condire paste di tutti i formati essendo un prodotto che si abbina molto bene a funghi, peperoni e patate.

Il bacon

Differente è il bacon che può essere ottenuto anche dalla pancia del maiale ma non solo, pure dalla schiena e dai fianchi dell’animale, infatti il termine bacon deriva da bacoun e significa parte posteriore del suino.

Questo salume è tipico dei paesi anglosassoni e viene inizialmente trattato in salamoia con sale, zucchero, spezie e conservanti, in un secondo momento viene fatto stagionare o affumicare.

Molto famosi sono diventate le due pietanze realizzate con questo salume: il bacon toast e le uova con bacon, classici piatti della colazione inglese e americana. Anche se quando in Italia si parla di bacon si intende spesso fare riferimento alla pancetta affumicata o al lardo che sono quindi prodotti chiaramente diversi rispetto al bacon americano e inglese.

Il guanciale

Infine abbiamo il guanciale, che, come facilmente intuibile dal nome, deriva dalla guancia del maiale, è una carne molto pregiata, con la presenza di alcune venature di muscolo e ricca di grasso tale da conferirle una consistenza particolarmente piacevole e un sapore più deciso e caratteristico.

Per ottenere il prodotto finale, dopo il taglio, effettuato con cura da mani esperti e sapienti, è prevista la salagione con uso di diversi aromi naturali e sale. Famosissimo il guanciale di Amatrice e quello della regione abruzzese che vengono sottoposti anche ad affumicatura di legni pregiati e profumatissimi come la quercia, il ginepro, l’alloro o il faggio tale da renderli unici al palato.

Con questo prodotto di eccellenza si preparano le altrettante celebri pietanze come la gricia, la amatriciana e la carbonara piatti famosi della tradizione laziale. Individuare le differenze tra pancetta, guanciale e bacon è importante per apprezzare non solo dei prodotti tipici ed eccezionali del territorio italiano ma anche per conoscere meglio le tradizioni che sono alla base delle proprie origini.

ali di pollo

Come cucinare le ali di pollo

Ali di pollo: un secondo piatto gustoso e sfizioso

Le ali di pollo rappresentano un gustoso e sfizioso secondo piatto da assaporare in tranquillità anche semplicemente stando sul divano a guardare un film, oppure seduti a tavola da soli o in piacevole compagnia. Sono considerate anche come uno degli street food più consumati al giorno d’oggi.

Si tratta ovviamente di un piatto che può essere preparato in diversi modi, ad esempio al forno, oppure al barbecue, semplicemente in padella, si possono fare al sugo, con l’aggiunta del piccante, impanate e fritte, che sono ancora più gustose, oppure alla cacciatora. Insomma, le ali di pollo sono una parte di carne che davvero si presta per essere cucinata nei più svariati modi e regalano sempre grandi soddisfazioni in cucina, esaudendo i gusti dei palati di tutte le persone.

Preparare le ali di pollo

La cottura delle ali di pollo può avvenire davvero in molti modi differenti, perché prima di esaminare come cucinarle, occorre sapere che vanno ben pulite. Spesso le ali possono avere ancora delle piume attaccate, quindi occorre passarle sul fuoco acceso del fornello per bruciarle. Per chi preferisce mangiarle più saporite, si consiglia di farle riposare in una marinatura che le renderà ancora più morbide e gustose. Per preparare la marinatura si può usare del latte, gli agrumi, del miele, l’olio, aromi e spezie varie. Si prende una ciotola nella quale si è preparata la marinatura e si immergono le alette di pollo. Si lasciano dentro ad insaporire, mentre si girano per alcuni minuti. Poi si copre la carne con della carta pellicola e si mette a riposo in frigorifero per all’incirca un’ora.

Se viene fatta una marinatura saporita si potranno cucinare delle alette di pollo veramente buone e per assaporarle meglio è consigliato passarle a rosolatura in padella qualche minuto.

Metodi di cottura

Le alette di pollo sono ottime anche se vengono fatte fritte, anzi sono un tipico piatto che piace sia ai più grandi che ai bambini. Non appena si sente l’odore di fritto piombano tutti a tavola e le alette una volta servite finiranno in un lasso di tempo brevissimo. Il piatto sarà subito vuoto e pronto per essere di nuovo servito.

Per una buona frittura occorre un olio di semi che deve arrivare ad una temperatura di centosettanta gradi centigradi. Per ottenere una panatura fatta bene, è necessario che non sia salato l’uovo, poiché il sale non permette al pangrattato di attaccarsi bene alla carne. Per il procedimento occorre che vengano sbattute le uova con la forchetta e messe in una ciotola. In un comodo piatto piano si versa la farina setacciata, si aggiunge il sale, il pepe, il prezzemolo e altre spezie se si vogliono. Poi si infarinano le ali con tutti questi ingredienti e si ripassano nell’uovo, poi di nuovo nella farina. Intanto in una padella alta e molto spaziosa, idonea per fare le fritture, si fa scaldare l’olio di semi in abbondanza e si procede a calare due ali di pollo alla volta nell’olio bollente, senza far abbassare tanto la temperatura dell’olio rischiando di rovinare la frittura. Le ali di pollo si devono lasciar cuocere per almeno una decina di minuti e una volta che sono cotte per bene e dorate al punto giusto, si prendono con il mestolo adatto e si lasciano colare dell’olio di cottura su di un piatto dotato di carta da cucina. Una volta fatte riposare, si salano e si portano a tavola oppure si mettono nei cartocci usati per lo street food, in maniera da offrirle in un modo più simpatico.

Le alette di pollo di possono cucinare anche in padella e di solito in questo modo si ottengono ben dorate e soprattutto si forma una crosticina saporita e buona. Fatte così possono essere sfumate sia con il vino che con la birra, a seconda di come si preferiscono. Se si sceglie la birra, la si prepara in un recipiente, aggiungendo del rosmarino, si immerge la carne all’interno e si copre con una pellicola trasparente, in questo modo si lascia marinare per circa due ore in un posto fresco.

Poi si prende una teglia grigliata e si preparano sopra le alette ripassandole con sale e del pepe tritato al momento. Si infornano a duecento gradi centigradi per un tempo di circa mezz’ora, appena pronte si tolgono dal forno e si coprono con il miele che è stato già sciolto in una pentolina insieme ad un cucchiaio di birra e al peperoncino forte. A questo punto le alette di pollo vengono rimesse in forno e si lasciano glassare con calma, appena pronte si sfornano e si servono all’istante così da essere belle calde.

Insalata di caldume

La caldume: storia

La caldume: storia

Com’è ben noto, la Sicilia oltre ad essere una terra bagnata da mari meravigliosi, abitata da gente ospitale e ricca di storia e di arte è una delle regioni dove si mangia meglio non solo in Italia, ma nel mondo intero. Noi della macelleria Sparacello vogliamo oggi portare alla vostra attenzione uno dei piatti più amati è più antichi della tradizione culinaria siciliana, un piatto che potrete trovare presso il nostro negozio a Palermo: la caldume.

Che cos’è la caldume?

Denominata in siciliano volgarmente “quarume”, la caldume o chòldes in greco antico è un dei piatti simbolo più antichi di tutta la Sicilia. Le sue origini risalgono infatti al periodo della dominazione greca in Sicilia, la cosiddetta Magna Grecia, dove era usanza sfamare i bambini con questa pietanza in quanto si credeva che le interiora del vitello contenessero al loro interno una grande quantità di principi attivi. Anticamente i cibi precedentemente cotti come bolliti, interiora, pesci fritti o verdure lesse venivano vendute nelle agorà, ovvero il centro della vita pubblica a quei tempi e ancora oggi vengono vendute nelle piazze cittadine sotto forma di street food. La caldume è un bollito misto di centopelli, ziniere, verza e matruzza di manzo o vitello. Dopo aver provveduto alla preparazione delle carni facendole bollire con un aggiunta di prezzemolo, sedano, carote e pomodori, il piatto va servito con un pizzico di sale, di pepe, un po’ d’olio e un po’ di succo di limone per accentuarne il sapore. Con il termine caldume, si intende infatti un piatto caldo composto da interiora di vitelle cotte nel brodo. Quando però preparato in un apposito tegame, questa ricetta tipicamente palermitana muta il suo nome, assumendo quello di “quarara”. La ricetta è ormai diventata introvabile nella maggior parte dei ristoranti palermitani, salvo per qualche locale che reintegrandolo nel menù lo ha elevato a piatto di culto.

Ingredienti e ricetta

Al fine di realizzare una caldume a regola d’arte è necessario acquistare ogni singolo elemento che compone la ricetta. Per prima cosa partire dalla carne, e quindi ventra, ziniere, matruzza e centopelle. È importante ricordare però che sono interiora e che quindi prima di essere cucinate vanno adeguatamente lavati. Il passo successivo è farli bollire nella quarara, immergendoli in abbondante acqua salata per circa 30 minuti. A seguito di questa cottura bisogna risciacquare la carne un ulteriore volta e metterla nella pentola assieme ad altri ingredienti.
Con lo scopo di rendere più saporito il brodo facendogli acquistare sapore si deve aggiungere sale, pepe e prezzemolo. Per quanto riguarda le tempistiche relative alla preparazione di questa tradizionale ricetta siciliana, occorre sapere che il tempo minimo di cottura della carne è di 3 ore. In seguito alla cottura, la carne dovrà essere tagliata grossolanamente a pezzi all’interno del brodo.
Quali sono gli ingredienti necessari per preparare il piatto?

  • 2 kg di interiora di vitello;
  • 2 carote, 2 cipolle, 2 pomodori e del sedano;
  • prezzemolo;
  • pepe;
  • sale,
  • limone.

Preparazione

Il primo step è pulire con dell’acqua e del sale le viscere e successivamente farle bollire in una pentola piena di acqua salata per un’ora circa. A seguito di questa di bollitura, bisogna rimuovere la carne dalla pentola e farla cuocere ulteriormente in un tegame con l’aggiunta di acqua fredda, oltre che di carote, sedano, cipolla, pomodori e prezzemolo. La cottura terminerà nel momento in cui la carne avrà raggiunto il giusto grado di tenerezza. Per l’impiattamento ricordare di servire il tutto con l’aggiunta di olio, sale, pepe e limone.
Ovviamente presso la Macelleria Sparacello sarà possibile trovare la ricetta autentica della caldume, così come raccontata. Se poi si effettuerà il ritiro del prodotto presso il negozio sito in corso dei mille a Palermo, sarà possibile acquistare anche un buon vino con cui accompagnare il piatto, come il Santa Margherita di Belice Rosso.

anelletti al forno

Anelletti al forno: uno dei piatti più amati della domenica

Anelletti al forno, piatto ben noto nella tradizione popolare.

Gli anelletti al forno sono un piatto amatissimo della tradizione popolare, ma non tutti sanno però che esso ha radici antichissime.

Gli anelletti al forno sono un piatto tipico palermitano, poi diffuso in tutta la tradizione culinaria siciliana.

L’ingrediente di base sono naturalmente gli anelletti, un formato di pasta ormai difficile da trovare nel resto d’Italia, ma tipico della cultura siciliana. Si tratta di un tipo di pasta fatto a forma di piccoli anelli, che accolgono un condimento saporito.

Gli anelletti hanno probabilmente origine tra Trabia e Termini Imerese, in provincia di Palermo, all’interno dei mulini costruiti dagli Arabi e sono molto probabilmente la prima forma di pasta al forno mai fatta al mondo.

Nel corso degli anni la classica ricetta ha visto numerose variazioni e migliorie fino ad arrivare ai giorni nostri così come la conosciamo noi.

Sicuramente l’ingrediente principale del condimento è rimasto invariato, ovverosia un tradizionale ragù, mentre il formaggio utilizzato era probabilmente in origine della tuma. Oggi si vedono varie varianti in base alla zona o alla tradizione famigliare.

Da anni, inoltre, va avanti la discussione tra cuochi e casalinghe siciliani a riguardo delle uova sode nella ricetta originale o meno e se mettere oppure no le melanzane, per molti una trovata più recente.

Gli anelletti sono stati usati in Sicilia sin dal Medioevo

Secondo alcune leggende popolari, la loro forma deriverebbe proprio dalla classica struttura degli orecchini che le donne arabe erano solite indossare durante il periodo dell’occupazione araba della Sicilia.

L’idea di un timballo a base di pasta, a contrario di come si potrebbe pensare, era una tecnica messa a punto dai Saraceni ancor prima che si usasse bollirla in acqua. Era un modo pratico e veloce per avere un ricco piatto di pasta facile da servire e eventualmente anche a banchetti o ricevimenti ai quali si veniva invitati.

Molti siciliani ancora oggi li mangiano volentieri anche e soprattutto a temperatura ambiente, magari al mare con la famiglia o durante un picnic in compagnia della fidanzata, questo perché sin dai primi tempi in cui si cucinavano gli anelletti, erano visti come una pietanza da festa e venivano prima cotti a casa propria per essere poi portati in una pirofila in giro. Da lì l’abitudine di mangiarli freddi o a temperatura ambiente, tant’è che secondo molti locali il fatto di mangiarli tiepidi permette alla pasta di insaporirsi ancora di più nel suo condimento.