Coda - Macelleria Sparacello

Coda alla vaccinara: storia di un piatto dal sapore unico

Non c’è storia di una pietanza che non inizi con la storia del suo nome. La Coda alla Vaccinara, per esempio, sembra che derivi per associazione dai vaccinari, ossia le maestranze del Mattatoio e, nello specifico i conciapelli e altri operai che si occupavano della scuoiatura del bestiame, volgarmente detti scortichini.

Il Mattatoio sopra citato non è uno qualsiasi, ma il Mattatoio di Roma, oggi riconvertito in luogo di interesse culturale, che sorge nel quartiere di Testaccio nel 1891. Da quel momento, nel quartiere prima e in tutta Roma dopo, incominciano ad essere utilizzate nella cucina tipica romana tagli di carne di scarto per preparare ricette povere per via della loro più semplice reperibilità.

La coda alla vaccinara è un piatto che è possibile trovare ancora oggi sulle tavole e nelle trattorie romane. Questa divulgazione della cultura dello scarto non è casuale, infatti sono stati proprio i vaccinari a promuoverla inconsciamente per via del fatto che spesso e volentieri non venivano remunerati con un vero e proprio salario, ma con il corrispondente in peso di scarti bovini. Ecco quindi svelato il senso del nome di questo piatto, la cui ricetta evidentemente era stata compilata per la prima volta da un vaccinaro e poiché non tutti gli scarti venivano consumati a casa, ma venduti alle osterie del Monte dei Cocci, sicuramente fu un vaccinaro a suggerire come cucinare la coda, divenendo padrino inconsapevole di uno dei piatti tipici regionali più famosi in assoluto.

La Coda alla Vaccinara nella storia

Come sempre, i piatti che nascono poveri e dalle necessità del popolo finiscono per essere apprezzati anche dai ceti più agiati. La coda alla vaccinara non fa eccezione e anzi entrò a far parte dei menù non ufficiali dell’alta borghesia romana, tanto da essere considerato uno dei piatti tipici. Le ragioni di questa promozione aristocratica di questa pietanza risiedono probabilmente nel fatto che si tratta di un piatto sì povero, ma che la sua preparazione è complessa ed elaborata tanto da confondersi con un’altra specialità molto richiesta nei palazzi delle famiglie più importanti dell’epoca: lo stufato di bue col sellero, ossia lo stufato di bue con sedano. Un piatto particolarmente speziato presente nella cucina romana sin dalla sua antichità. La curiosità è che più della carne, era il sedano a dare importanza al piatto, per via del fatto che in quei tempi questo ortaggio era considerato nobile e quindi reperibile solo dai signori benestanti.

Se il nome della coda alla vaccinara sembra essere stato coniato in tempi relativamente recenti, sembra che il piatto in sé, invece, sembra avere origini bene più antiche e addirittura lo si fa risalire al 1300, ma c’è chi sostiene che ci siano testimonianze di questa pietanza già nell’Antica Roma. Non oseremo tanto e per convenzione ci soffermiamo al 1300 e più precisamente nel Rione Regola, quartiere storico popolare prevalentemente abitato dai vaccinari con tanto di chiesa e patrono a loro dedicati – San Bartolomeo – da papa Pio V.

Le varianti della Coda alla Vaccinara

Sono molte le varianti della Coda alla Vaccinara, la ricetta originale non può prescindere dai tre ingredienti principali oltre alla coda, ossia il sedano, la salsa di pomodoro e il cacao amaro. Tutte le versioni che contemplano questi ingredienti, pur rivisitandola, rimangono comunque tra i binari della tradizione. Altri ingredienti che vengono aggiunti, a quanto pare secondo l’usanza trasteverina, sono i pinoli, l’uvetta e i particolarissimo gaffi, ossia straccetti di guancia di bue che contribuiscono a caratterizzare il sapore di questo tradizionale piatto.

insalata di musso e carcagnolo | quinto quarto

Il glossario del quinto quarto palermitano

Palermo, capitale mondiale dello street food, deve gran parte del suo successo culinario alle parti meno utilizzate degli animali, il cosiddetto quinto quarto.

Palermo capitale dello street food e la rivincita del quinto quarto

Organi e interiora sono molto apprezzati dai palermitani e dai turisti, con piatti antichi ancora oggi riproposti nelle trattorie, nei ristoranti e nei piccoli corner gastronomici in giro per la città come pietanze tradizionali irrinunciabili.

Quali sono le parti più utilizzate delle interiora e delle frattaglie animali?

Il piatto simbolo dello street food è la stigghiola, ricavata dal budello dell’agnello e cotta sulla fornacella, la brace. L’odore goloso delle stigghiola arricchisce Palermo dalle 16.00 in poi, con venditori ambulanti in ogni angolo della città.

Altra pietanza da assaggiare in visita nel capoluogo siciliano preparata con il quinto quarto è il pane ca meusa. Si tratta di una focaccia di pane caldo condita con milza e polmone di bovino cotti nello strutto. Il panino con la milza può essere condito solo da sale e limone. Nella versione “panino ca meusa maritato” è condito da ricotta o scaglie di parmigiano.

Un piatto tipico dell’inverno palermitano è la caldume, in dialetto quarume, una zuppa di interiora di bovino quali trippa, duodeno, stomaco e retto. I quarumari tradizionali aspettano i clienti che, con le loro pentole portate da casa, vanno ad acquistare la zuppa ancora bollente.

Per uno spuntino pomeridiano audace, o per un secondo piatto fresco a cena, si possono utilizzare due ingredienti principi della cucina di strada palermitana: u mussu, ossia il muso del vitello, e u carcagnolu, il calcagno dello stesso animale. La cartilagine è saporita e callosa, perfetta per condire insalate con sedano, olive e carote, o per essere consumate “a stricasale”, ossia bollite e condite con sale grosso.

Ultima tappa culinaria obbligatoria per chi visita Palermo è la frittola, composta da un mix di scarti animali quali cartilagini e carni macellate miste di vitelli, maiali e ovini, prima fritti nella sugna e poi bolliti per far rinvenire solo la carne cotta.

Avverti un leggero languorino? La Macelleria Sparacello a Palermo serve cibo di strada tradizionale già pronto o carni e quinto quarto di alta qualità per le vostre grigliate, anche a domicilio.

trippa

Quinto quarto: la rivincita delle materie prime povere

La tradizione culinaria italiana è basata soprattutto sull’utilizzo delle materie prime povere e di quelli che, un tempo, erano considerati gli scarti dei nobili, soprattutto nell’uso di alimenti costosi come la carne. Così la cucina italiana si è arricchita di ricette che utilizzano il quinto quarto, ossia l’insieme di interiora e frattaglie da servire in piatti ricchi di sapore e buone qualità nutrizionali.

Quinto quarto: cos’è

Il termine quinto quarto deriva ancora dall’usanza popolare di dividere idealmente l’animale in quattro parti, anteriore, posteriore, superiore e inferiore, e di sezionare le carni in base alla posizione di partenza del muscolo. Il quinto quarto è la parte “in più”, quella interna. E’ costituita dalle frattaglie come cuore, reni, milza, polmone e altri organi interni o parti dell’animale non utilizzate.

Piatti regionali

Tra i piatti regionali che utilizzano il quinto quarto tra gli ingredienti ricordiamo, ad esempio:

  • le stigghiola, piatto tipico siciliano realizzato con le budella dell’agnello, ripulite e cotte alla brace;
  • ‘o pere e o’ musso, nel napoletano, composto dalla cartilagine delle zampe e della bocca delle pecore;
  • la famosissima coda alla vaccinara romana, piatto tipico del Lazio;
  • i batsoa in Piemonte, ossia i piedini di maiale fritti;
  • il marzheddu calabrese, un sandwich realizzato con pane tipico locale. Viene condito con un soffritto di frattaglie di vitello che include milza, fegato, trippa e polmoni;
  • la trippa, un ingrediente che in tutta Italia fa successo in piatti come la trippa alla milanese, alla fiorentina, al sugo o in umido;
  • la pajata romana, un ragù per primi piatti che contiene intestino di vitello ripassato al sugo.

Ciò che distingue queste pietanze dalla realizzazione di altri piatti non è tanto la facilità di cottura – anzi, molti di questi procedimenti richiedono tempi lunghi per la corretta cottura delle interiora -, quanto invece l’uso di materie prime povere, semplici, per lo più vegetali.

Insieme al quinto quarto, nelle ricette, troviamo infatti soffritti di verdure, sughi, preparazioni in umido tipiche di una cucina povera.